Caro formatore,
Siamo sottoposti ai messaggi più contraddittori. Un Guru ci stimola a circondarci di collaboratori che rompono gli schemi, un altro ci ricorda l’importanza del lavoro di squadra, ove tutti devono collaborare armonicamente. C’è chi spaccia l’umiltà come la Virtù cardinale, chi ci osserva che la Leadership deve essere rivoluzionaria. Oggi Leonardo da Vinci non convincerebbe alcun Recruiter, nessun genio del passato troverebbe lavoro.
Cosa sta succedendo?
Ogni manager vuole collaboratori di Talento, orientati al cliente, collaborativi con il Capo, resilienti ad ogni stranezza organizzativa, che sappiano sopportare con cristiana rassegnazione i colleghi brocchi e pasticcioni.
Petrunya, laureata in Storia, disoccupata intelligente, dopo un ennesimo colloquio di lavoro umiliante, si trascina sconsolata alla festa del paese, ove il prete ortodosso lancia, come ogni anno, la croce nel fiume. I ragazzi del paese si gettano a petto nudo nel fiume gelido per recuperare il sacro simbolo. Ma Petrunya, in un impulso bestiale, si tuffa vestita e prende la Croce.
La comunità è spiazzata. E’ chiaro che nessun reato è stato commesso ma tutti vogliono punire la poveraccia, che viene condotta alla Polizia, interrogata, umiliata. Il gruppo esige il sangue del capro espiatorio.
Ma Petrunya non abbassa la testa e, alla fine di un percorso catartico, dove si confronta con l’amica, la madre, le istituzioni, ritrova sé stessa, la propria fiducia, un futuro.
Il linguaggio filmico di Teona Strugar Mitevska, la regista di “Dio è donna e si chiama Petrunya”, è preciso ed evoluto. La macchina da presa è usata magistralmente per indagare i grandi temi della narrazione, a partire dal ruolo del cinema stesso. Il protagonista del testo è il simbolo, ovvero il ponte tra quello che esiste, la società umana, gretta e meschina, e ciò che non esiste, che non si può vedere, che non si può toccare.
E quindi significative le due inquadrature che aprono e chiudono il film. All’inizio la protagonista è al centro di un reticolo di linee senza un senso, alla fine imbocca un sentiero ben tracciato nella neve.
Dunque un testo che chiarisce come ogni essere umano cerca la propria essenza nel confronto con il gruppo che, per definizione, è castrante. In questo confronto i Leader si difendono tramite le Regole, che non sono altro che consuetudini inutili ma rassicuranti.
“L’abbiamo sempre fatto così” è il fondamento delle comunità che, coltivando pseudo-tradizioni, fanno prevalere la forma sui contenuti, la grettezza sull’umanità.
Come può evolvere quindi una comunità ove gli innovatori vengono umiliati prima che mettano piede nel perimetro. Come possiamo fare “Change management” ove soffochiamo il personale con rituali e procedure che non portano alcun beneficio.
“Dio è donna e si chiama Petrunya” è un film da gustare per comprendere quanto valore ci sia nelle persone, e quanto poco siamo in grado di valorizzarle.
Luigi Rigolio
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