Ghost In The Shell

C’era molta attesa e molta paura da parte dei fan circa l’arrivo del live action della celeberrima creazione del fumettista giapponese Masamune Shirow, che essendo uscito nel 1989 rende quel futuro immaginato nel 2029 ormai piuttosto prossimo. Il fatto che il manga fosse già diventato un anime per opera di Momoru Oshii, che nel 1995 realizzò un lungometraggio d’animazione che ebbe grande successo, spinse la Dreamworks di Spielberg ad acquistare i diritti per la trasposizione dal vivo.

Il personaggio Kusanagi Motoko nell'anime di Oshii
Il personaggio Kusanagi Motoko nell’anime di Oshii

Diciamo subito che il risultato finale è soddisfacente e l’atmosfera è resa molto bene e la scelta delle inquadrature del regista Rupert Anders ricordano molto alcune tavole si Shirow. Perfetto anche il corredo di musiche e suggestivo l’uso degli effetti per rendere i mega ologrammi pubblicitari che affollano la metropoli. Unica pecca tecnica la CGI di una scena in qui la protagonista salta sulle macerie di un ponte che sta crollando. Una svista davvero inspiegabile se si considera il budget disponibile ed il livello medio della pellicola. Dal punto di vista narrativo c’è tensione e ritmo, con un solo buco di sceneggiatura che disturba solo i più attenti.

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La diatriba riguardante la scelta della protagonista, occidentale piuttosto che asiatica, non ha molto senso se si considera che il personaggio principale è in realtà un corpo sintetico, lo “shell” per l’appunto. Al limite è criticabile la scelta in particolare di Scarlett Johansson, in luogo della Margot Robbie che ha preferito impelagarsi nel pessimo “Suicide Squad” o di qualsiasi altra (sommessamente mi piace immaginare una ginnica Jessica Biel anche in edizione post partum). Questo perché la Johansson, complice forse il presenzialismo del personaggio della Vedova Nera nei film Marvel, è così inflazionata che sembra ormai sempre sé stessa in un cosplay che azzera il personaggio a favore dell’attrice.

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Alla fine abbiamo comunque un buon film cyberpunk che fa onore alla Dreamworks e per chi dovesse lagnarsi della Johansson, si consoli al pensiero che poteva andare peggio: potevano scritturare Emma Stone e lei avrebbe potuto pure… cantare.