La Casa Di Carta

Ero indecisa se guardare o meno l’ultimo tormentone firmato Netflix: “La casa di Carta“.
Non mi convinceva per due semplici motivi: non mi piace lo spagnolo e non mi stimola il fatto che tutti ne stiano parlando. Inoltre la serie viene spacciata come un’originale Netflix, nonostante sia solo stata comprata e riadattata dall’azienda, facendo infuriare la produzione spagnola (“La casa de papel” è una serie ideata da Álex Pina e trasmessa da Antena 3 dal 2 maggio 2017 al 23 novembre dello stesso anno ndr). Non mi piace seguire l’onda, ma era mio dovere approfondire la questione, farmi un’opinione, così mi sono fatta forza e ho guardato il primo episodio.


Nonostante la mia poca simpatia per lo spagnolo, consiglio vivamente la visione in lingua originale con sottotitoli in italiano, per dare un senso alla cosa. Gli attori non sono altrettanto convincenti doppiati in italiano e vi sfido a guardalo in inglese senza ridere. La trama è semplice: un gruppo di ladri, guidati dal misterioso Professore, tenta di fare una rapina alla nell’edificio della Zecca. La maggior parte dei personaggi è di bell’aspetto, il che aiuta. Quasi tutta la narrazione è retta dal personaggio femminile Tokyo, bella e letale, peccato che gli sceneggiatori le abbiano dato il look di Mathilda in Leon. Tokyo si meritava più originalità.

Úrsula Corberó in La casa de papel

Anche gli altri personaggi sembrano un po’ stereotipati, ma in qualche modo risultano convincenti, almeno per adesso. Alcune linee narrative sono chiare fin da subito, come la relazione tra Tokyo e Rio, o quella padre figlio tra Mosca e Denver, altre devono ancora chiarirsi. La narrazione procede per salti temporali che regalano allo spettatore una posizione onnisciente, oltre a rendere il ritmo della puntata molto più dinamico. Il primo episodio si conclude con un colpo di scena da maestro, che rende difficile non sentire il bisogno di scoprire come va avanti. Domanda sorge spontanea: guarderò il prossimo episodio? Non credo. Nonostante la regia e le interpretazioni siano valide, questo non mi basta per farmi piacere la serie. Ne ho fin sopra i capelli di distopie, maschere e operazioni contro il sistema. La trama facilmente racchiudibile in un film di due ore, perché sprecarci sopra altro tempo?

 

Giulia Lo Foco

Il declino del PC da tavolo nell’era della SVOD

Un tempo il desktop si chiamava “PC da tavolo” per distinguerlo dal portatile che oggi tutti chiamano laptop. Inutile opporsi agli inglesismi nel campo informatico, pena il rischio di apparire prossimi alla rottamazione. Il PC da tavolo non ha mai conquistato i salotti degli italiani rimanendo relegato allo studiolo o alla camera dei ragazzi ed oggi paga lo scotto della sua estrema specializzazione.

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Sì perché se il portatile e lo smartphone condividono a pari merito quasi un terzo della fruizione di contenuti SVOD (fonte IBM cloud video) con un 15% ciascuno di visualizzazioni, il vecchio PC da tavolo rappresenta il fanalino di coda con appena il 5% del traffico. A pensar male (che spesso ci si azzecca come diceva un celeberrimo politico della vecchia repubblica) c’è da rilevare che negli uffici ci si può dedicare di nascosto a bazzicare i social network o a leggere il proprio magazine preferito, tutte attività che non richiedono necessariamente la funzione audio, ma guardare un programma sarebbe evidentemente troppo smaccato. A farla da padrone quindi è il caminetto tecnologico di casa rappresentato dalle connected TV che con il 43% di share veleggiano con brio verso la metà del traffico SVOD.

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Il tablet che pur ha uno schermo più grande degli smartphone, ma non gode della medesima diffusione, si attesta ad un tondo 10%. E per chi a casa non ha ancora la smart TV, ma vuole vedersi un film o una serie durante la pausa tra un gioco e un altro può usare la sua console giochi come media per i contenuti SVOD. Il che significa che già oggi, sommando questo residuale 12% al 43% delle connected TV , i fruitori del digital delivery utilizzano schermi grandi per fruire dei contenuti e ciò implica che la qualità dell’immagine è destinata ad essere un aspetto importante che gli operatori del settore devono considerare nell’offerta dei loro programmi.

Gli irraggiungibili primi

E’ uscito questo mese lo studio della società canadese  Sandvine intitolato 2016 Global Intenet Phenomena, ed è possibile acquistarlo e scaricarlo on line dal loro sito. Come si intuisce dal titolo lo studio è dedicato al web ed in particolare al suo impatto nel settore dell’entertainment di cui il cinema ne costituisce sempre una gran parte.

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Il dato saliente è che nel Nord America oltre un terzo del traffico generato dai contenuti audio e video su internet avviene tramite Netflix, la compagnia che, nata diciotto anni orsono per noleggiare DVD per corrispondenza, ha mutato pelle ed è diventata leader incontrastata nella distribuzione di contenuti digitali attraverso internet. In verità ha perso qualche punto percentuale negli ultimi mesi passando da un bulgaro 37,1% ad un comunque cospicuo 35,2% a causa degli investimenti di Amazon che stanno incominciando a dare i propri frutti conferendo al colosso delle vendite on line il terzo posto sul podio con il 4,26% . Un risultato apparentemente poco appagante se si considera la distanza siderale che lo separa dalle vette di Netflix, ma che pure segna una tendenza in atto e che non va sottovalutata (era solo l’1,31% tre anni fa), soprattutto alla luce della potenza di fuoco, in termini di capitali, che il gigante Amazon può ed ha incominciato a dispiegare nel settore del digital delivery. Per dare un’idea più compiuta delle dimensioni del successo di Netflix è indicativo il dato di You Tube che si assesta al secondo posto con appena il 17,53% del traffico. Altrettanto significativo è il magro quarto posto di I-Tunes con il 2,91% di traffico, fenomeno questo, è doveroso precisarlo, dovuto soprattutto alla dimensione infinitamente inferiore dei file audio rispetto ad un qualsiasi film. Hulu è al quinto posto con il 2,53% e poi, come si suol dire, il diluvio. Il darwinismo digitale a cui ci ha abituato il net non lascia spazio a stupori di sorta, ma allo stato attuale è difficile immaginare come possano entrare nuovi soggetti (come non pensare a Google Play e a Wuaki TV), quantomeno nel mercato nord americano. E quindi, come diceva Frankie Hi-NRG, gli ultimi rimarranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili.