No, Veltroni no …

Un film di Valter Veltroni… sembra un epitaffio, una condanna per una pellicola appena uscita. Si tratta di “C’è tempo” il film con Stefano Fresi e Simona Molinari uscito ieri nelle sale.

Liberarsi di Veltroni non è attività semplice per tutti coloro che si sono arricchiti grazie a lui e che ora scontano giustamente il peso della riconoscenza: libri, film, documentari, non manca nulla, solo il teatro, ma arriverà presto l’occasione.

Diciamo subito che per Palomar ormai non è un gran problema produrre un film di Veltroni, tanto il contributo ministeriale è certo, la RAI è certa e in fondo qualche soldino possono anche spenderlo facendo finta che il prodotto sia originale, poetico e necessario.

Veltroni, lui, procede spedito nella via editoriale come se niente fosse, anzi come se fosse un regista affermato, un regista d’arte, un po’ Faenza, un po’ Muccino, forte di una melanconia che traspare a ogni piè sospinto dal suo volto perennemente contrito. Non che ci si debba toccare i sacrosanti appena incrociamo qualche creazione di Valter, ma quando constatiamo che Veltroni, Rutelli, Follini ed altri si sono riversati nel povero settore dello spettacolo, ci domandiamo se non sia il caso di rivolgerci all’Autority per la pirateria e denunciarli tutti. 

foto scena film Walter Veltroni – C’è tempo Walter Veltroni foto di Chico De Luigi

Rimane il mistero su quanto vengano pagati i diritti d’autore e l’opera di regia e forse è meglio non saperlo visto che libri e professionisti di grande successo, talvolta, vengono sottostimati e le opzioni a condizioni misere sono di grande moda. Ma la politica esprime tutto il suo potere anche quando non si occupa di politica e a noi non resta altro sfogo che quello di non andare a vedere il film di Veltroni, così forse, la smette. 

Michele Lo Foco

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La distribuzione che verrà

La nomina di Luigi Lo Nigro a Presidente dei distributori è la prova, qualora ce ne fosse bisogno, del sentiero imboccato dal cinema nazionale che porta direttamente nel baratro.

Intendiamoci, ottima persona e professionista di livello, ma Rai Cinema non dovrebbe nemmeno esserci in Anica, figuriamoci poi presiedere un settore così fragile e strategico.

L’azienda pubblica, anche se è evidente che i dirigenti non la considerano tale, dovrebbe rimanere super partes, essere prevalentemente emittente, comunque equidistante dai privati imprenditori, al limite supporto delle strutture indipendenti.

Ma in Italia non c’è niente da fare: gli elefanti in cristalleria ci vogliono rimanere e oltretutto si agitano.

In un altro paese qualcuno si sarebbe alzato per protestare, ma qui no, chi volete che esprima la sua contrarietà alla struttura che finanzia quasi tutto?

Giampaolo Letta

Per completare il quadro verticistico del potere, Letta come Vice: come dire, voi straccioni indipendenti che non avete una televisione alle spalle non venite a disturbarci.

Francesco Rutelli a Venezia

Ed ecco che Anica assume sempre più l’aspetto rutelliano di un circolo privato di potenti, nel quale, in un piccolo salotto, ci si spartiscono i pochi beni rimasti di un settore agonizzante, le feste, i mercati, i contributi statali.

Giunti al fondo del pozzo, cominciamo a scavare.

 

Michele Lo Foco

Lucky… Black

Le dimissioni di Andrea Occhipinti da presidente dell’ANICA sono un atto doveroso, necessario, inevitabile e auspicabile.

Avere la botte piena, la moglie ubriaca e l’amante ubriaca è veramente troppo in un  settore così devastato come il cinema, e Occhipinti ha voluto esagerare: fondi pubblici, cessione a Netflix, la Mostra di Arte Cinematografica di Venezia e insieme sala e televisione. Intendiamoci, tutto lecito all’altare dei soldi per un produttore, ma per carità non per il Presidente dei distributori!

La locandina del film “Sulla Mia Pelle” prodotto da Lucky Red ed in esclusiva su NETFLIX

Netflix sta facendo tutto il possibile per destabilizzare il mondo cinematografico che è così sottocapitalizzato che pur di guadagnare poco più degli immigrati in un campo di pomodori, i produttori cedono a Netflix tutto, anche le mogli, pur di evitare le spese di distribuzione. E dire che un film se non viene lanciato dal cinema, sembra non esista!

Ma ci pensano i Festival a fare da trombettieri per Netflix, tanto a loro cosa interessa, paga tutto lo Stato!

Il risultato di questa politica devastante è presto descritto: se devo andare al cinema, magari in una saletta da cinquanta posti, pagando quasi nove euro, mi abbono con gli stessi nove euro, ma per un mese (cioè quanto il canone RAI), a Netflix e i film me li vedo molto più comodamente sdraiato sul divano di casa, senza pubblicità, senza Vespa, senza telegiornali, senza rotture.

E’ un ragionamento brutale ma la concorrenza è questa, soprattutto se non ci sono più regole!

Michele Lo Foco

La vittoria di Netlfix a Venezia

La vittoria di Netflix a Venezia e’ il perfetto risultato di una confusione concettuale cui la sinistra e Baratta hanno dato il loro sostanziale sostegno.

Paolo Baratta e Alberto Barbera alla 73esima edizione del Festival del cinema di Venezia

tutti i telegiornali e i commentatori si sono precipitati a elogiare il vincitore , con quella solita plageria che sa sempre di richiesta di accettazione, ma nessuno ha osato accennare che il film è stato prodotto da quella mega società multimilionaria che sta togliendo l’aria al cinema.

Eppure il problema era ben presente sul tappeto , visto che il festival di Cannes aveva negato l’ingresso a film non programmati al cinema mentre il presidente dei distributori italiani aveva tradito tutti affidando a Netflix il suo film su Cucchi approfittando di una demenziale norma che consente di non uscire obbligatoriamente al cinema se il film viene programmato in un festival.

Alessandro Borghi in una scena del film su Cucchi “Sulla mia pelle”

ovviamente le norme italiane sono tutte frutto di una regia maligna coordinata da Anica che anche in questo caso ha ritenuto di non fiatare, mentre gli esercenti, caduti nella trappola, si sono resi conto che la loro fine si avvicina.

Il festival di Venezia si chiama esattamente festival d’arte cinematografica e per questo Barbera si è sperticato a ripetere che un prodotto è un prodotto e che a lui non interessa il seguito: era evidentemente stato ben istruito e aveva capito che senza Netflix il suo festival sarebbe stato più fragile di quello che è comunque stato.

Anche l’incompiuto film di Orson Welles “The other side of the wind” è stato completato con le risorse finanziarie di Netflix

Resta il dato sconfortante che i soldi stanno minando tutto il tessuto imprenditoriale e artigianale del settore, tutti sono a caccia dei soldi di netflix e anche la Rai che ha da tempo imbrigliato la produzione si sta piegando alle logiche del meglio poco e subito piuttosto del rischio sala.

Finisce così nelle mani di Netlix e di una manciata di giovinastre russe pronte a tutto la nostra manifestazione di punta, glorificata da giornalisti improvvisati o modesti alla caccia di qualche notizia e di qualche volto decoroso da esibire sempre e solo in televisione.

Michele Lo Foco

 

Don Matteo e i potenti inamovibili della TV

Se c’è qualcosa che in Italia conta veramente è il potere , soprattutto in quei territori aridi come lo spettacolo , nel quale le fonti di sostegno sono volutamente poche e ben identificate.

Diciamolo chiaramente , a nessun politico interessa veramente quello che succede nel cinema e nella televisione: una volta occupati i telegiornali , il resto puo’ essere bello ,brutto o ignobile tanto non cambia nulla.

Infatti non c’è una voce che si soffermi nel valutare il vero valore di programmi di largo ascolto come per esempio don Matteo: ma vi rendete conto di chi è veramente don Matteo? Un prete che gira in bicicletta con il cappelletto perfettamente calato sulla sinistra della testa, come non riuscirebbe  a nessuno, e che va in giro a fare domande da poliziotto !!!! Ma che prete è? truccato , con il viso immobile alla Terence Hill , si muovono appena le labbra, ci manca poco che estragga una colt! Quello sarebbe il parroco che controlla la sua parrocchia?

E quell’altra suora che sembra voglia strapparsi le vesti e correre nuda dietro a qualcuno cos’ è? una suora ?

Eppure evviva !!! Come siamo bravi nella fiction …..le mamme e le nonne applaudono senza che nessuno si renda conto che quelli  sono esempi negativi , che portano fuori strada , elementi viziati di una società che non sa più nemmeno riconoscere ruoli e funzioni ma solo il potere della posizione : quel racconto , quel personaggio piace a ….guai a toccarlo , il produttore è intoccabile ….la signora della fiction ha sentenziato questo si , quello no , quello forse ma non subito ma forse si.

Woody Allen nel film “Il dittatore dello stato libero di Bananas”

Potere : una specie di stato libero di bananas è la rai , ma anche mediaset e pochi altri, nei quali chi occupa la posizione diventa bello , fico addirittura, certamente interessante ,talvolta ricco, con una schiera di ammiratori servili che ridono quando lui ride, che si alzano quando lui si muove, che cercano di intuire dove andrà, lui ,il potente inamovibile, quello di cui i politici se ne sbattono salvo che non abbiano donne da piazzare .

Lui, il potente, non deve più ragionare sul futuro dell’emittenza, non ha tempo, è sempre in viaggio a visionare il nulla, che viene prodotto in molti paesi, e lo fa svaccato in poltroncione gigantesche con una assistente di fianco che sta attenta non gli venga sete.

Un’immagine di “Quinto potere” di Sidney Lumet

Potere, quello invisibile, il potere di una borraccia d’acqua nel deserto , eppure esiste e resiste, e non c’è un’anima che si curi di eliminarlo, così, anche solo per una forma di giustizia :  qualcuno si accorgerà un giorno che don Matteo avrà condizionato migliaia di giovani definitivamente senza fissa dimora , ma sarà tardi .

 

Michele Lo Foco

NOI E GLI AMERICANI

La vera differenza tra noi e gli americani è semplice: per noi l’arte, o quello che consideriamo arte o cultura, è appannaggio di una élite che nella sua assoluta superiorità ritiene di tutelarla indipendentemente dal fatto che sia capita o apprezzata o condivisa.

Questa élite è rappresentata prevalentemente dalla sinistra ideologica, la stessa sinistra che oscura perché è volgare il lato erotico della donna per riservarlo a intime e rare occasioni e che rifiuta qualunque tipo di collaborazione intellettuale con il volgo.

Nanni Moretti in Palombella Rossa

Gli americani invece sono dominati dal denaro, e nulla che non rappresenti un affare suscita la loro attenzione e il loro impegno. Anche il cinema e la cultura sono oggetti di un grande mercato commerciale, anche gli attori sono pedine di un meccanismo speculativo che ha nel pubblico l’unico e vero arbitro, e nulla può intervenire e disturbare questo connubio, nessun interesse pubblico, nessun intellettuale, nessun critico.

Dicono “perché mai dovrei proporre al pubblico uno che nell’ultimo film ha dimostrato di non piacere?”

Dicono anche: “costui o costei, non sappiamo perché, piacciono, e allora ne prendiamo atto.”

Glenn Ford e Rita Hayworth in “Gilda” di Charles Vidor

Qual è pertanto lo spirito con il quale gli americani strutturano le loro opere? L’attore principale certamente deve essere esaltato, mentre l’attrice a latere non deve disturbare l’assoluta attenzione del pubblico verso il protagonista, e pertanto deve essere carina ma non bella, interessante ma non troppo. Nulla vieta però di accostare ai primi due qualche nuovo entrato, per saggiarne le possibilità o il gradimento: così facendo il produttore mette nel suo arco una nuova freccia che potrebbe essere efficace oppure no. Resta il fatto che l’attore, come la storia, devono piacere: da noi no.

Nicole Grimaudo

Se un attore non piace, nel senso che non traina il pubblico verso la sala cinematografica, da noi non è un problema, l’importante è che piaccia alla burocrazia televisiva o all’élite cinematografica festivaliera, perché se poi, come avviene normalmente  il film non fa una lira, la colpa è del destino e il danno lo subiscono i cittadini ed il settore, non gli intellettuali del mondo dello spettacolo, che loro si lo capiscono e lo apprezzano.

Michele Lo Foco

Protagonisti del cinema italiano: il professor Giuliano Urbani

In Italia la divulgazione delle informazioni e pertanto la creazione delle opinioni, quella che in altri termini si chiama persuasione, transita tramite giornali, televisione e meccanismi strumentali, quali incarichi, presidenze e quant’altro. Con questi sistemi persone di nessun valore, di nessuna capacità, o di normali attitudini, riescono a creare a loro vantaggio la memoria di “buon operato” o di “rinnovo delle strutture” o di “intervento atteso da tempo”.

Urbani in Parlamento

Chi invece non ha mai usato la “persuasione” quale mezzo per crearsi una fama positiva, passa nel dimenticatoio sociale. È il caso del Prof. Urbani, sicuramente il miglior ministro che il nostro paese abbia avuto negli ultimi vent’anni in ambito culturale. Giuliano Urbani, con semplicità e senza forzare i tempi, ha intuito quali erano i difetti e i disagi del mondo dello spettacolo ed è intervenuto con leggi di sistema che avrebbero potuto radicalmente ristrutturare il settore se poi l’oligopolio successivo non avesse provveduto a demolirne i contenuti.

Giuliano Urbani e il Presidente Carlo Azeglio Ciampi

L’introduzione del “ reference sistem”, vale a dire della valutazione delle aziende e degli operatori sulla base di dati inoppugnabili, quella del “product placement” che ha riportato l’Italia in Europa, la creazione di una Cinecittà centrale nel sistema e autorevole, la preparazione di un nuovo sistema di censura, sono solo alcuni dei tratti legislativi capaci di portare nuovi capitali e di diminuire la discrezionalità che tanto piace ai nostri dirigenti pubblici.

Urbani e Sgarbi quando erano direttori scientifici del corso VaProBAC

Il prof. Urbani era ed è un uomo di cultura e non di potere, non si è saputo pertanto difendere dalle offese gratuite e volgari di Sgarbi, né dalle infiltrazioni politiche del partito che aveva collaborato a creare, e si è ritirato silenziosamente quando ha compreso che non era più in grado di navigare in un mondo evoluto malignamente.

Giuliano Urbani e la moglie Ida Di Benedetto

E’ stato accusato di favorire Ida Di Benedetto, grande attrice, grande personalità: bene, oggi è sua moglie e se le avesse dato una mano, diciamolo con sincerità, avrebbe fatto bene!

 

Michele Lo Foco

Conferenza stampa sui dati CINETEL 2017

Le Associazioni ANEC-AGIS, ANEM, ANICA e la Direzione Generale Cinema del MIBACT hanno tenuto ieri, presso la Sala Cinema della Presidenza Nazionale ANEC, l’annuale conferenza stampa sui dati CINETEL del mercato cinematografico 2017 .

Ascoltando la conferenza di presentazione dei dati cinematografici elaborati da Cinetel nascono due sensazioni: la prima è che le poche e confuse parole che vengono espresse siano quelle di quattro, cinque, sei anni orsono, le stesse identiche.

La seconda è che quella specie di comitato “bulgaro” che sovrintende alla presentazione stia prendendo in giro tutti, e nemmeno con uno sforzo apprezzabile.

Descrive lo scenario devastante del fallimento Borg, vale a dire colui che con la Universal ha guadagnato per conto degli americani le fette di fatturato perse dal nostro paese, e danno una loro interpretazione del momento storico i soliti Occhipinti e Cima, cui si legge in faccia che loro da questa crisi non sono nemmeno sfiorati, visto che quello che conta sono i rapporti televisivi.

da sx a dx Rutelli, Cima e Occhipinti

Rutelli poi non nasconde l’imbarazzo di dover parlare di una materia che non conosce e che probabilmente non gli interessa, e inanella discorsi vuoti di contenuto ma rassicuranti: il cinema è vivo.

La realtà è che il cinema è morente anche grazie al lavoro pessimo di questi signori e ad una legge che non è entrata ancora in vigore e che dubito potrà mettersi in moto tra esperti internazionali di chiara fama, una piattaforma che non funziona e richieste burocratiche da paese borbonico.

Dimettetevi, questa è l’unica implorazione e imprecazione che viene spontanea dopo la conferenza di ieri, nella quale si è parlato per la centesima volta di pirateria, di internet e dell’estate le vere colpevoli secondo loro della crisi.

Ma dire che il prodotto italiano è troppo modesto non è più regolare? Dire che questo cinema di Stato gestito da una sinistra cieca e faziosa ha mostrato i suoi limiti, non sarebbe segno di civiltà? Quanti soldi sono stati gettati dallo Stato, e quindi anche dalla Rai, con i tax credit, le agevolazioni, i contributi, in un buco nero che vale il 17,8% del fatturato nazionale?

Paola Cortellesi e Antonio Albanese alla presentazione del loro ultimo film “Come un gatto in tangenziale”

Quando un film ha un minimo di personalità, la gente va a vederlo: questa è la miserabile considerazione che si evince guardando i dati, e non c’è bisogno di capolavori, basta una commediola non deficiente con Albanese per dimostrare che il pubblico si accontenta di poco!

Ma non si è accontentata del nulla che è stato proposto nel 2017,  e qualcuno, in politica, nel governo, dovrebbe trarre, quanto meno, le conclusioni: il cinema di Stato quello determinato dalla televisione e dal Ministero, quello stabilito discrezionalmente nelle stanze dei potenti, non funziona, il cinema dei privilegi, non funziona. Il cinema è libertà e creatività: servono autori, testi intelligenti, attori credibili, produttori veri.

 

Avv. Michele Lo Foco

Membro Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo

 

Ridley Scott licenzia Kevin Spacey

A poco più di un mese dall’uscita del film sul rapimento di Paul Getty, prevista per il prossimo 22 dicembre la produzione dell’ultimo film di Ridley Scott intitolato “Tutti i soldi del mondo” caccia Kevin Spacey investito dallo scandalo molestie sessuali.

Andranno rigirate tutte le scene in cui compariva Spacey e la cosa non è banale e le segretarie di produzione sanno bene cosa vuol dire ricreare tutti i set con precisione ossessiva, mentre i registi sanno che sequel particolare pathos non sarà facile da replicare, ma l’etica è tutto o quasi e quindi non c’è altra scelta che ingaggiare un solido professionista come Christopher Plummer e rifare tutto quanto. Non sarà indolore sui conti della produzione

Spacey a sinistra e Plummer a destra

Le quattro società co-produttrici hanno storia più televisiva che cinematografica. La Scott Free Productions ad esempio è quella di “Numb3rs” e della serie “The Good Wife” mentre la Imperative ha prodotto la serie “Heroes reborn”. Nonostante non sarà indolore per i loro conti economici riconvocare altre star del cast come Mark Wahlberg e Michelle Williams per rifare le scene con Plummer, la loro è una scelta obbligata se vogliono continuare ad entrare nelle case degli spettatori con le loro serie TV.

Michelle Williams e Mark Wahlberg

Qualcosa però non quadra in questo moralismo. Quantomeno bisogna contestare una certa tempistica tardiva a cui si aggiunge una opaca mancanza di sincerità. Da sempre il pubblico ha un’immagine distorta degli idoli cinematografici, ma parimenti l’industria conosce invece ogni vizio privato che si cela dietro supposte pubbliche virtù. Nel 1955 quando la rivista “Confidential” (Siamo come avrete capito in piena atmosfera James Ellroy) stava per pubblicare i gusti sessuali di Rock Hudson, la Universal molto pragmaticamente pagò una somma per evitare che il sex simbolo maschile ne fosse distrutto. Sempre in perfetto clima noir si svolse la vicenda che coinvolse Robert Mitchum accusato di fare uso di stupefacenti e che indusse RKO, lo studio che aveva sotto contratto l’attore a quel tempo, ad imporre al proprio pupillo di fare pubblica ammenda.

Rock Hudson

Da allora nulla è cambiato, l’industria continua nella commistione tra immagine pubblica e ruoli d’attore. Tutti sanno tutto, ma si procede alla cacciata ed al ludibrio solo quando la macchia diviene di dominio pubblico. Se Kevin Spacey fosse degno o meno dei valori etici e morali della produzione del film di Scott era noto prima che scoppiasse lo scandalo  e se merita ora di essere ostracizzato altrettanto lo merita il regista e tutta la produzione. Se invece, come non sarebbe peregrino propendere, si volesse mantenere distinti gli attori ed i loro ruoli dalla loro vita personale (ché privata, se uno vuole fare il divo, non ce la può avere una vita) nulla osta affinché il cast concluda il film così come è partito. La seconda ipotesi è ovviamente pura utopia poiché è il pubblico che vuole confondere attore e personaggio e per dirla con un idolo che impersonò perfettamente tale fusione “Nessuno dovrebbe andare al cinema se non crede agli eroi” (John Wayne).

 

 

Non avete ancora sentito niente

Sono passati ormai 90 anni da quel 6 ottobre 1927 in cui Al Jolson, corifeo del vaudeville, fece sentire la propria voce nel ruolo del protagonista del film “Il cantante di jazz”. Prima di allora il cinema era muto, nel senso che non parlava, ma non era del tutto silenzioso, infatti è sempre stato accompagnato da musica dal vivo, oppure riprodotta con strumenti come il fonografo. C’erano persino attori che leggevano i dialoghi e riproducevano i rumori.

un kinetoscopio di Edison

Pioniere della sincronizzazione tra immagine e suono fu già Edison che trovò la maniera di far funzionare contemporaneamente il kinetoscopio, la sua invenzione con cui nacquero i nickleodeon theatres,  e il fonografo. Ma il kinetoscopio era un apparecchio ad uso individuale e per far fruire audio ad un pubblico in sala si dovrà attendere almeno fino al 1923 quando Lee DeForest brevettò il “Phonofilm”, la prima pellicola a contenere una traccia audio incisa su una striscia verticale a lato dei fotogrammi.  Segue la Western Electric che nel 1925 inventa il “Vitaphone”, un sistema basato sulla sincronizzazione di una pellicola e dei dischi. L’appena nata società dei fratelli Warner adotta il sistema Vitaphone e il 6 agosto 1926  proietta al pubblico il film di Alan CoslandDon Giovanni e Lucrezia Borgia” . Il sistema funziona, ma il film, girato per il muto e quindi senza dialoghi, presenta giusto la colonna musicale sintonizzata e la cosa non fa certo scalpore.

Al Jolson e May McAvoy

Neppure  “Il cantante di Jazz” presenta dei dialoghi, il lavoro di sceneggiatura non si è ancora adeguato al passo tecnologico, ma in quattro scene è sincronizzata la voce di Al Jolson mentre canta e in una di queste recita le celeberrime parole “You ain’t heard nothing yet” e indubbiamente, prima di quel momento, nessuno spettatore aveva ancora sentito niente di simile durante una proiezione cinematografica.

Gene Kelly in “Cantando sotto la pioggia”

La rivoluzione del sonoro non fu incruenta e molti divi dalla voce gracchiante o dall’eloquio deludente ci lasciarono le penne. I film risulteranno più statici perché i microfoni non sono molto sensibili e nemmeno direzionali, per cui funzionano poco e male, captando tutti i rumori del set. Non c’è la possibilità di avere tracce audio separate da mixare con comodo in studio per cui dialoghi rumori e musiche vanno registrati in contemporanea. Persino il rumore della macchina da presa diventa un problema e deve essere collocata in una cabina insonorizzata che ne limita grandemente in movimenti. Un trauma di tale magnitudo influenzerà per sempre l’industria di Hollywood e ancora nel 1951 Stanley Donen rievoca quel momento girando “Cantando sotto ls pioggia” con Gene Kelly e Lina Lamont, in cui i protagonisti, stelle del muto, si trovano a convertirsi in attori parlanti in corso d’opera mentre girano un film intitolato “Il cavaliere spadaccino”.

Un fotogramma di “Aurora” di Murnau

Il primo film pensato e realizzato peri sonoro sarà nel 1928 “Le luci di New York” di Brian Foy , seguito l’anno successivo dal primo musical cantato, parlato e danzato, “The Broadway Melody” di Henry Beaumont. Ormai il dado è tratto e si moltiplicano i sistemi di sincronizzazione, per cui la Fox adotta un suo stima chiamato “Movietone” molto simile al “Phonofilm” , utilizzato per esempio nella colonna sonora del famoso film di Murnau “Aurora”, anch’esso del 1927. Anche RCA realizza il proprio brevetto che chiama “Photophone” e questo proliferare di standard incompatibili tra di loro spingerà le cinque grandi MGM, Paramount, First National e Producers Distributing Co. a siglare un accordo per la pellicola prodotta dalla Western Electric, mentre il sistema a dischi resisterà sino al 1931 quando la Warner , la prima ad adottarlo, sarà l’ultima costretto ad abbandonarlo.

Entrambi editi e distribuiti da DNA sono disponibili in commercio i DVD de “Il cantante di Jazz”, pubblicato proprio questo mese per celebrare i 90 anni dalla sua uscita, e “Aurora” di Friedrich Wilhelm Murnau.