Marche ou crève

Regia di Tatiana Margaux Bonhomme.

Un film con Diane Rouxel, Jeanne Cohendy, Cédric Kahn, Pablo Pauly, Clémentine Allain

Quasi contemporaneamente all’uscita nelle sale francesi è stato presentato al Torino Film festival l’opera prima della regista parigina Margaux Bonhomme intitolata “Marche ou crève”, prodotta da “Avenue B” e distribuita internazionalmente da “Charade”.

E’ il racconto autobiografico della sofferta convivenza con una sorella disabile e l’effetto detonante che questo ha sulla vita della famiglia. Due anni di serrata ed accurata preparazione condotta fianco a fianco con attori, medici, operatori e naturalmente la medesima sorella disabile hanno permesso di addivenire ad un film duro e vero come la realtà. Eppure non scevro di allegria e voglia di vivere che permane il motore della narrazione.

La vita è vista come una parete da scalare, dove vengono attivate tutte le risorse e fruiti tutti gli appigli, perché non c’è un’alternativa dall’arrivare in cima. Così è il prendersi cura di una persona fortemente disabile che non è autosufficiente e necessita di costante attenzione. Non c’è spazio per lo svago o per il lavoro e neppure per l’amore, perché lo stato di bisogno e dipendenza della persona amata assorbe ogni minuto di tutta la famiglia che rischia per questo di andare a pezzi. Non solo della disabilità ma anche e soprattutto del rapporto che i famigliari hanno con essa  parla questo film.

Molto brava si conferma Diane Rouxel, che ricordiamo in “A testa alta” (2014) e “Volontarie” (2018) e che qui interpreta la sorella adolescente di Manon, la ragazza disabile, ma incredibilmente realistico e credibile è la performance di Jeanne Cohendy , che per affrontare il ruolo di handicappata ha passato mesi con degli specialisti ed è stata a contatto con la vera sorella della regista per imparare la gestualità ed il comportamento di chi è afflitto da quella particolare inabilità.

A volte si perde la sensazione che si tratti di un film e sembra un documento reale e nitido sino ad essere quasi disturbante. A ciò contribuisce uno stile di regia asciutto senza effetti, dove persino la musica è strettamente diegetica e non c’è alcuna concessione all’estetica dell’immagine. 

Mai scontato e niente affatto ruffiano questo film è una verità (“una” non “la” verità, si badi bene) sul mondo della disabilità. L’intento dichiaratamente non è quello di fornire risposte, ma è quello di descrivere un fatto vivido e toccante così come è stato vissuto dall’autrice. Un film quindi che fa pensare. Cosa che di questi tempi non è poi così frequente.

Presentato al Torino Film Festival 2018

Rosa Trotta