LA GUERRA DEI NONNI

Regia: Gianluca Ansanellii

Con: Vincenzo Salemme, Max Tortora, Bianca Guaccero, Herbert Ballerina, Ana Caterina Morariu, Luca Aqngeletti

Distribuzione: Medusa Film

Data di uscita: 30 novembre 2023

 

 

 

 

 

Gerri (Vincenzo Salemme) è un nonno attento e premuroso, vive con la famiglia della figlia, aiuta in casa e si prende cura dei suoi amati nipoti.

In questo perfetto equilibrio familiare irrompe nonno Tom (Max Tortora), che dopo anni vissuti all’estero torna in Italia per trascorrere un po’ di tempo con i nipotini. Esuberante e chiassoso, nonno Tom è pronto a infrangere ogni regola stabilita da nonno Gerri pur di realizzare i desideri dei bambini e conquistare il loro amore.

Dall’incontro tra Gerri e Tom nascerà un’accesa competizione .

 

 

 

 

La coppia Salemme Tortora dimostra un’indubbia bravura in un film che ha una scrittura debole con qualche guizzo, ma è ben poca cosa. La rappresentazione stereotipata di questi ‘nonni’ in situazioni che dovrebbero far ridere a stento fa sorridere.

Il film si tiene in una posizione intermedia finendo col perdere in originalità. Difficile capire a quale pubblico si rivolge. È il momento che la commedia all’italiana faccia uso di una scrittura più attuale e meno generica e stereotipata. È possibile, la gente sta tornando in sala e si merita storie originali e intelligenti.

Maria Serena Pasinetti

La terra dell’abbastanza

La terra dell’abbastanza, acclamato all’ultimo festival di Berlino, è il film d’esordio dei gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo. Narra di un viaggio di (de)formazione criminale di due giovani amici, in una periferia romana dalla doppia duellante valenza, solo una delle antitesi che spingono avanti la storia: Manolo (Andrea Carpenzano), chiuso, ambiguo, infido e Mirko (uno scalpitante Matteo Olivetti), sanguigno, vero, smosso dalla coscienza. Caratteri che emergono solo dopo l’incidente scatenante (l’involontario omicidio stradale di una “busta gialla”, che fa comodo al clan di zona). Da quell’evento casuale si comincia a sfaldare il loro legame di amicizia, intravisto nella sequenza iniziale. Le traiettorie da parallele diventano inesorabilmente asintotiche, i comportamenti non hanno una meta se non l’apparente benessere edonistico (soldi, donne facili) che non spegne la coscienza, fino alla struggente risoluzione, col tocco finale straniante della scena dei tatuaggi. Altri poli opposti sono un padre inconsapevole e rimbambito anche davanti agli eventi tragici da cui viene investito (un inedito e intenso Max Tortora, capace di registri recitativi emozionanti) e una madre (Milena Mancini, brava, dolente e rassegnata) che invece lotta per far rinsavire il figlio e che vorrebbe scappare in… Molise!; Non esiste una famiglia consolidata, neanche quella di rincalzo che la donna vuole difendere e lo stesso clan malavitoso non ha niente di fronte che possa ostacolarne il piatto strapotere ideologico della “svolta” promessa o il sogno di un reality; la location periferica di Ponte di Nona – a detta degli stessi registi “…ha scorci molto strani, quasi fiabeschi, e ci piaceva l’effetto di contrappunto tra il degrado e l’onirico…”. Interessante la scelta linguistica fatta di fotografia che va dalla sovraesposizione al controluce, quasi sempre livida in interni, che nega la luce piena ai volti e fonde colori e spazi alla Francis Bacon, con la mdp a mano (si, voglio chiamarla macchina da presa di anime e non telecamera) che riesce a far sentire – nelle inquadrature strette e incalzanti addosso alle facce dei personaggi – i loro tumulti interni, il passato e il presente che ne determinano l’esistenza in piani sequenza che non sono mere soluzioni tecniche per ottimizzare il girato. E i totaloni (campi lunghissimi) contrapposti, spiazzanti, con Mirko e Manolo persi nel magma incomprensibile del loro piccolo quartiere o dove li mandano ignari e ignavi a fare esecuzioni sommarie.

Ormai il cinema di ambientazione periferica romana è quasi un minifilone (Non essere cattivo, Cuori puri, Il contagio, Fortunata ecc.) decenni dopo la fiammata post-pasoliniana dei primi anni sessanta, dove era la borgata al centro della narrazione, ma La terra dell’abbastanza si distingue per essere un noir de’ noantri che – citazionismo d’azzardo – mi ricorda Julies Dassin, quasi uno spin-off di Suburra, senza indugi nel descrivere un degrado morale e materiale di belli puliti e cattivi (?) che potevano avere un futuro diverso, non incentrato solo alla roba verghiana edulcorata dal berlusconismo.

Gaetano Gentile

La terra dell’abbastanza

Scritto e diretto dai fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo (opera prima)
Presentato nella sezione “Panorama” al Festival di Berlino 2018

con Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Milena Mancini, Demetra Bellina, Michela De Rossi, Max Tortora, Giordano De Plano, Luca Zingaretti.

Mirko e Manolo sono amici d’infanzia, vivono in una borgata romana e frequentano la scuola alberghiera, che sperano di finire al più presto per poter fare i bar tender. Una sera, a bordo della loro macchina, investono un uomo e, spaventati, scappano senza prestargli soccorso. Dopo gli iniziali sensi di colpa i due amici scoprono, grazie all’aiuto del padre Danilo (Max Tortora), che quell’evento tragico può essere un’opportunità per loro. L’uomo investito è infatti un pentito del clan dei Pantano, temuta famiglia criminale della zona, e Mirko e Manolo si guadagnano il diritto di farne parte, ottenendo il rispetto e il denaro che non hanno mai avuto.


Sotto la guida del malavitoso Angelo (Luca Zingaretti), i due amici iniziano così a “lavorare” come killer senza la reale consapevolezza delle loro gesta.
La mancanza d’aiuto da parte delle istituzioni e della famiglia è la denuncia che si nota in maniera evidenziata; la sottile linea rossa che separa la legalità dalla “malavita”.
Il padre di Manolo (Andrea Carpenzano) è affetto da ludopatia, mentre la madre di Mirko (Matteo Olivetti), separata e con un lavoro precario, non riesce a sopperire la figura del padre.


La mancanza di punti di riferimento diventano la discesa verso l’inferno rappresentato dai soldi, dal potere, dal successo
in un ambito sociale in cui la persona è ridotta a merce, lasciando poco spazio ai sentimenti.
Questi disvalori, apparentemente appagati, decideranno la loro sorte.

Al cinema dal 7 Giugno

Giovanni De Santis

Caccia al tesoro

REGIA: Carlo Vanzina
ATTORI: Vincenzo Salemme, Carlo Buccirosso, Max Tortora, Christiane Filangieri, Serena Rossi, Gennaro Guazzo
Genere commedia
Commedia girata tra Napoli Torino e Cannes, fa il verso a “operazione San Gennaro” anche se la motivazione non è come quella di Dino Risi e la banda è alquanto scalcinata,
composta da una coppia che tiene la scena: Carlo Buccirosso e Vincenzo Salemme,


che insieme ad altri formano il team per assaltare il mitico tesoro di San Gennaro, con uno scopo altruistico aiutare il nipote affetto da una grave malattia,
rubare la Mitra e realizzare una somma per l’operazione che salverebbe la vita al piccolo.
Non si riesce a staccare il cordone ombelicale dalle commedie definite “cinepanettoni”, nonostante i diciotto anni dall’inizio della serie composta da Vanzina (e molto prima da altri
registi), il primo nell’anno domini 2.000 “Vacanze di Natale”.


Questo periodo, a ridosso delle festività natalizie, ha “necessità” delle abbuffate pantagrueliche di commedie italiane leggere e …sta senza pensieri: prodotti come l’Avaro
con il mitico Albertone o d’oltre oceano come “la vita è meravigliosa” di F. Capra, sono oramai miraggi.
Di cosa si potrà parlare o ricordare tra qualche decina d’anni???
Sicuramente il genere cinepanettone, oramai marchio di fabbrica, come fenomeno di massa: non del titolo, del regista o dell’attore.
Al cinema dal 23 Novembre

La Coppia Dei Campioni

Arriva nelle sale “La coppia dei campioni” di Giulio Base, con Massimo Boldi e Max Tortora, un film di cui, francamente, non si sentiva la necessità.

Un milanese e un romano, dipendenti della stessa azienda, vincono due biglietti per la finale di Champions League. I due si conosceranno all’imbarco dell’aeroporto, detestandosi immediatamente. Andranno poi incontro a una serie di disavventure per tutta da durata dei 98 minuti del film.

Trama è a dir poco scontata e prevedibile, tra luoghi comuni, gag (trite e ritrite), volgarità gratuite, battute incresciose.

Boldi-Tortora-1

Quello che resta allo spettatore è un forte senso di disagio e noia per un prodotto pecoreccio, anacronistico, povero di idee (senza andare a scomodare il pensiero, ci mancherebbe). 

Sabrina Dolcini