THE HOUSE THAT JACK BUILT

Jack può fare tutto: trascinare un cadavere sulla strada e avere un temporale che cancella ogni traccia; uccidere due bambini davanti alla madre; farsi un portafogli con una mammella; trasportare decine di cadaveri in piena città e non essere visto.

Si vede che Jack è come un regista: indiscutibile e magistrale, padrone o master del suo campo. Solo una cosa gli è negata da Von Trier, che è il regista del regista: uccidere sei persone con un solo proiettile. Prima perché il proiettile non è un full metal jacket, e bisogna cambiarlo (questo implica una perdita di tempo); poi perché il mirino del fucile non mette a fuoco il bersaglio, che è troppo vicino (questo implica non sparare più).

A questo punto si apre la seconda porta e appare Verge, cioè Bruno Ganz. Ganz è stato l’angelo umanizzato del Cielo sopra Berlino e ora è Virgilio, con gli abiti ottocenteschi di una specie di Dr Watson. Jack – che ha già indossato una cappa vermiglia per l’ultima strage – diventa un perfetto Dante. A questo punto inizia la catabasi, ma è un altro discorso. Jack può fare quello che vuole, in modo simbolico e paradossale – cioè impunemente –, come Christian Bale in American Psycho.

Ma perché il regista – regista del regista, architetto dell’architetto – gli nega l’ultima strage? Guardiamo meglio. In realtà c’è un’altra cosa che sfugge a Jack. È proprio the House. The House viene costruita e demolita più volte, all’aperto, nella forma di una casa classica. The House sarà costruita solo alla fine, con i cadaveri congelati, e non all’aperto. Sarà paurosa e non classica; e sarà paurosamente simile ad un igloo di Mario Merz (e uno dei grandi igloo di Merz ha come insegna un cadavere: un cervo). Di fatto è un’installazione museale. Un’opera di Merz (per la forma) e di Spoerri (per la materia organica). Ed è facile pensare che sia volutamente un’opera museale, che sta al chiuso, in una cella frigorifera (prima destinata alle pizze: parodia e secondo nome delle grandi bobine di pellicola). In pratica: la grande cultura è roba da frigorifero, preparata maniacalmente e destinata a rimanere al chiuso.

All’esterno di questo Museo Ghiacciato, Jack è un fallito, ed è un fallito proprio nella sua missione artistica. Quindi: Jack fallisce come architetto all’aperto e vince come architetto al chiuso; vince come massacratore di una persona alla volta (all’aperto), ma perde come stragista (al chiuso). Quando perde come stragista (al chiuso), vince come architetto (sempre al chiuso), e quando perde come stragista e vince come architetto, allora si manifesta Verge (che c’è sempre stato, con il suo stile da Watson, in secondo piano; ma non si è mai fatto vedere, né all’aperto né al chiuso: non era il suo tempo). Quando si manifesta Verge, Jack diventa Dante. Quando tutti e due si manifestano – uno come duca e uno come poeta – il film rallenta. Rallenta, letteralmente: nelle immagini e nel suono, fino all’abominio di Hit the Road, Jack rallentata nei titoli di coda. Il rallentamento implica che siamo nel campo dei Novissimi.

Torno alla domanda fondamentale: perché Jack può tutto ma non può uccidere sei persone al chiuso, con un colpo solo? Vediamo: sei individui sono stati catturati singolarmente, e sono le prime prede vive di Jack. In altre parole: Jack sbaglia a portare la vita dentro il suo museo, per ucciderla; la vita deve essere uccisa fuori e portata, morta, al chiuso; la vita deve essere uccisa con una certa improvvisazione, e non con troppa programmazione; anche the House all’aperto viene costruita con un eccesso di programmazione, e non può essere mai finita.

Al chiuso – tra le pizze, nel gelo, senza Sole, e quindi in una specie di casa del Vampiro – the House è fattibile, ma – attenzione – può essere fatta solo con materia morta. Nessun vivo può essere ucciso in questo luogo chiuso. Nemmeno lo stesso Jack può morire nel Museo Ghiacciato, e – a quanto pare – Jack scende all’inferno da vivo. Adesso ci siamo. Jack è il solito genio, uno di noi professionisti. E sbaglia quando vuole essere contemporaneamente vivo e creativo, improvvisatore e programmatore. Sbaglia quando vuole agire da artista nel mondo (all’aperto), e sbaglia quando vuole agire da umano nel museo (al chiuso).

È uno schema molto semplice, un po’ come l’amico di Tonio Kröger che si chiude in un locale quando arriva la primavera inesorabile. All’esterno del Museo, il vampiro può solo cercare prede, ma non può innalzare una casa tradizionale. Nel Museo, si può costruire l’igloo di Merz, ma non è the House tradizionale. Ammetteremo, da creativi, di essere un po’ mostruosi? Ma certo. Se lo fa Von Trier possiamo farlo anche noi. Che poi ci si senta in colpa, isolati e isolabili, contemporaneamente vincenti e perdenti – e che tutto questo non piaccia – è un altro discorso. In fondo, a noi vampiri, ci piace un po’ di autocritica, stimolata da gente che vediamo al nostro Livello: Virgilio, per esempio, con il viso di un grandissimo Ganz. Niente di meno? Niente di meno.

Massimo Sannelli