Caro formatore,
non è facile giudicare il mondo contemporaneo. Ci sono molte opportunità, molta tecnologia ed allo stesso tempo tanta complessità e conseguente disorientamento. Di fronte all’evoluzione politico-culturale degli Stati Uniti Steven Spielberg ha sentito l’urgenza di interrompere a metà due film per dedicarsi alla storia dell’indagine del Post sul coinvolgimento americano nella guerra del Vietnam.
Per questo, secondo alcuni critici questa volta Spielberg, l’unico grande autore che è stato campione nei botteghini, sembra dare importanza più al contenuto che al meta-testo filmico. Non è così, visto che The Post è costruito intorno ai due stilemi derivati dall’ebraismo: scrittura e memoria. Dunque si tratta di un testo in continuità con la filmografia precedente del regista americano. Dunque, se proprio vogliamo interpretare politicamente quest’ultima fatica di Spielberg, più che un giudizio morale su Donald Trump, possiamo vederci una domanda sul mondo incomprensibile, illeggibile e non memorizzabile che produce un presidente che sfugge alle categorie del passato.
Dunque l’esigenza di scavare nella memoria, mettendo al centro la tetra figura di Richard Nixon, il presidente “malvagio”. L’indagine porta ad uno shock: dal 1971 tutto è cambiato, il mondo della comunicazione soprattutto. Solo 40 anni fa tutto era comprensibile, stampato su carta, ricostruibile. Impressionante rendersi conto di come la tecnologia della stampa, ancora negli anni ’70, fosse più simile a quella del 1600 che a quella attuale.
La domanda del testo è: dove stiamo andando? E soprattutto dove sta andando la scrittura e dove la memoria? E la risposta viene, per sottrazione, da un passato chiaro, anche se non necessariamente “buono”. Il film dunque non indaga la questione politico-morale quanto il tema dell’informazione, e dunque, della verità. La scrittura, nella società, non esiste più, come non esiste più la “struttura” e dunque anche la memoria è a rischio.
La questione è dunque: come potremo ricordare?
Per questo la protagonista, una grandissima Meryl Streep, recita per sottrazione, tramite magistrali silenzi che rappresentano il bisogno di ricordare, ricordare il padre, la fonte e l’origine della Verità. Non è un caso che la proprietaria del Post si oppone alla logica dei consiglieri più fidati tramite un percorso a ritroso (“dove saremmo se…”).
Scendendo ad un livello più mondano, quello che abbiamo perso è la capacità di interpretare ruoli chiari.
E qui veniamo al potenziale impiego formativo del racconto: se vogliamo rappresentare il funzionamento della prevenzione, il cosiddetto “Risk Management”, vediamo, con chiarezza crescente, emergere ruoli e struttura. Chiara risulta la rappresentazione dei due filamenti del DNA (altro stilema di Spielberg) organizzativo: chi lavora per il risultato, chi lavora per evitare disastri. In Tribunale, a difendere il Post, ci va proprio il Legal Advisor, chi aveva fatto di tutto per prevenire i guai.
In sintesi, caro formatore, il testo di Spielberg è perfetto per rappresentare lo schema organizzativo ideale, ove i ruoli sono definiti. Ricordando un mondo che non c’è più (e che non è mai stato perfetto) abbiamo un modello di ingegneria organizzativa che non è ancora stato sostituito. Sta noi decidere se ispirarci ai tempi chiari, al mitico Washington Post, oppure inventarci qualcosa di nuovo, oppure affidarci ai sistemi informatici, che permettono di controllare tutto “in tempo reale” (ma non il Caos, ovviamente).
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