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A beautiful day

Joe è un veterano di guerra ed ex agente Fbi. Vive con la madre e non se la passa proprio bene, con i ricordi di un passato difficile, un padre violento e la guerra che lo tormentano. Ora il suo compito principale è combattere la prostituzione minorile e salvare le giovani ragazzine dalla schiavitù sessuale. Un giorno un senatore newyorchese lo contatta per la scomparsa di sua figlia Nina, con il sospetto che sia finita proprio tra le grinfie di questi traffici legati alla prostituzione. Accetterà una nuova missione terribile che nasconde un gioco di potere, corruzione e violenza molto più pericoloso del previsto.

Questo “A Beautiful Day” rimanda inevitabilmente a dei film di culto del genere, in più di qualche momento il nostro pensiero va a Taxi Driver, e un po’ meno a Leon e Drive. Analogie e punti di contatto ci sono con tutte e tre le opere citate, anche se il riferimento principale è il capolavoro di Scorsese, anche se non voluti come dichiarato dalla regista Lynne Ramsay. Un film dove spicca un’interpretazione maiuscola di Joaquin Phoenix, una delle più importanti della sua carriera, se non la più importante, la sua più impegnativa dai tempi di “The Master”.

Il disagio, lo stato interiore, il tormento del passato che annienta Joe si fanno espressione non solo nell’insofferenza del personaggio, sul malessere fisico del protagonista, sul suo corpo pieno di cicatrici, ma anche esplicitando le sue agonie interiori con sequenze, flashback e immagini fugaci, che creano un bel parallelismo fra passato e presente. La sofferenza fisica e interiore di Joe, sono una componente fondamentale nella storia, lui è protagonista in tutti i sensi, prima ancora della sue missioni che usa come espiazione di una passato tragico e sofferente. La missione alla ricerca di Nina probabilmente è la prova più distruttiva della vita di Joe, la resa dei conti finale, che riavvolge tutte le sue pulsioni di autodistruzione e vendetta, ma che porta nonostante tutto un barlume di speranza.

La sceneggiatura scritta da la giovane regista non è densa e complessa, ma assolutamente efficace, spiazzante e innovativa. La risoluzione finale ne è una splendida dimostrazione. Poi una menzione speciale la meritano le musiche e la presenza narrativa del suono. La colonna sonora, firmata Jonny Greenwood, diventano protagoniste più che mai nel regolare il registro narrativo dell’opera. Non a caso la regista lo rivendica, nei suoi film considera le musiche e il suono ancor prima delle riprese.

Un film che, nonostante la forte presenza del sonoro, è veramente molto visivo, molte immagini sono “pugni in faccia”, grazie anche al sapiente aiuto della fotografia, ed una perizia nella ricerca del dettaglio che emerge in ogni inquadratura.

Con queste specificità Lynne Ramsay ha costruito uno dei più bei film dell’ultima stagione cinematografica, un’opera che ha il grande pregio di rivedere gli stilemi di genere e aggiungere un nuovo modo di raccontare e di guardare al classico vendicatore in cerca di redenzione.

Lorenzo Ceotto

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